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  Ciao, questo è l’ultimo mio post su questo blog (che rimarrà al momento online, per chi dovesse aver voglia di leggere a ritroso). Sono entrata qui da dis-adatta circa quattordici anni fa e ne esco da dis-adatta. In mezzo c’è stato un momento in cui ero adatta a questo luogo, voglio dire, l’internet in generale e questo spazio in particolare. C’è stato un momento in cui mi sono sentita una specie di storia di successo, no? E per me il successo era fare una vita abbastanza normale. Essere riuscita ad ottenere, sempre con grandi bestemmie, quello che mi pareva gli altri avessero già di nascita: una casa, uno stipendio, una famiglia, un mucchio di libri, pochi amici ma buoni. E questo le persone me lo riconoscevano: “guarda”, dicevano “guarda da dove è partita e dov’è arrivata”. Me lo disse anche la terapeuta: “Renditi conto che avresti potuto non funzionare, e invece funzioni”. Bè, da quella narrazione mi sono staccata. Primo, perché mi sembra davvero molto idiota, per noi occide
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I miei quattro decenni

 L'estate scorsa, sul volo di rientro dalla Scozia, finivo questo libro islandese, si chiamava La vita degli animali, mi perdonerete se non riesco a pronunciare il nome della scrittrice. No, va', lo cerco e lo copincollo: Ólafsdóttir, Auður Ava. Ecco qua. Dicevo. A un certo punto parlava del fatto che esiste una parola islandese specifica per indicare i grandi compleanni : i dieci, i venti, i trenta e così via. Bene, io tra due mesi compio quarant'anni. Dev'essere un grande compleanno , immagino. Se penso alla mia vita vedo una serie di eventi traumatici di cui avrei fatto volentieri a meno e, in questi ultimi, difficilissimi, tre anni, mi sono chiesta tante volte se ne è valsa la pena, se vale la pena vivere così. Ma poi, guardando alla mia vita in termini di direzione e non tanto di fatti accaduti, non mi sembra poi così male.  Sì, lo so che sono cervellotica, che esagero coi metapensieri, e mi sono detta più volte che sarei più felice se imparassi a semplificare, i

Dare e ricevere ai tempi di Tinder

 L’altro giorno parlavo con L. a proposito di quando sei single e ti ritrovi sempre in mezze relazioni che sono veri e propri vicoli ciechi. A me è capitato molte volte: da quando mi sono separata dal padre delle mie figlie, ogni relazione è stata un fallimento annunciato, finché non ho incontrato L., e quindi è un tema che ho avuto modo di analizzare per molti anni. Ognuno mi diceva la sua: sei tu che in fondo non vuoi, sono i figli, vai sempre a cercarti quelli sbagliati. E poi c’erano il mio vissuto, la mia scarsa autostima e un trauma da abbandono che aveva bollito sottotraccia sin da quando avevo perso mio padre a otto anni, per poi esplodere durante una relazione dalla morte annunciata. Tra tutte le cose che mi hanno detto, tutte vere, tutte false, tutte parziali e tutte inutili, una solo era condivisibile: la relazione giusta sarà quella dove penserai che quella fortunata, tra i due, sei tu. Oggi è così. Io nelle Highlands scozzesi Ultimamente penso spesso che siamo tutti fi

Una madre è un archetipo

So che qualcuno mi dirà anche questa volta che mi lamento sempre e che massacro le povere piccoline di rivendicazioni. Francamente, posso dirlo?, non me ne frega un cazzo. Scrivo quando non so che devo fare, scrivo e razionalizzo, scrivo e tutto mi sembra meno pauroso. Prendi i miei sentimenti qui spiattellati e facci quello che vuoi: nutritetene, pensaci, facci qualcosa. Alla peggio, intrattieniti. Se ti danno fastidio e non ne trai niente, neanche un pensiero critico verso di me, che ti assolva dalle tue colpe, allora fuggi da qui: non serve a niente né a te né a me. Questa mattina dopo essere stata chiamata di nuovo “madre di merda” e tante altre brutte cose a cui non voglio pensare, mi sono guardata allo specchio e ho pensato di scappare. Ho abbastanza soldi da parte per non morire di fame mentre cerco un lavoro. Le mie figlie hanno un padre che può occuparsi di loro, e soprattutto possono e devono fare appello alle proprie risorse personali, senza questa madre ingombrante a

Sono diventata un tiro al piattello

Stamattina come al solito c’era una delle mie tre figlie che aveva voglia di sfogare una legittima frustrazione adolescenziale sulla propria madre e pertanto ha attaccato con la sempiterna solfa secondo cui a casa non ci sarebbe mai abbastanza da mangiare, rifiutando la mia profferta di yogurt, toast, crackers, biscotti, the, latte, succo di frutta (“è marcio!”, ha dichiarato di fronte a una confezione di succo ACE comprato il giorno prima, in scadenza a novembre dell’anno prossimo, rea di essere stata macchiata da degli schizzi di salsa di soia, la quale peraltro era stata rovesciata da lei stesso o da una delle sue sorelle, le quali tuttavia hanno dichiarato all’unisono “non sono stata io”). Posto felice sull'isola di Skye Le mie figlie mi stanno letteralmente tiranneggiando. Questo è deprimente. Vedono che c’è una sola persona adulta tra me, il padre, la nonna, gli insegnanti che non si arrabbia quasi mai, si prende ogni singola responsabilità, dà tutto senza lamentarsi, e decid

Non morirò per questo

Leggo sui social tante persone che parlano di questo famoso settembre, in cui le vacanze sono terminate e si torna alla solita vita lontana dai bisogni veri e desideri. E questo per loro sarebbe ok. Sarebbe auspicabile. Forse il problema sta in quella prima parola che ho scritto: leggo. Leggere gli altri anziché parlare, il problema in fondo è quello. Le persone vere mediamente non sono felici di tornare dalle vacanze. Ma magari sui social se lo raccontano. Ad esempio ultimamente mi è capitato di conversare con diverse persone che mi hanno raccontato di aver vissuto malissimo il lockdown. Che non dormivano la notte per via della cassa integrazione, che non sapevano come avrebbero fatto a pagare l'affitto. Che hanno visto i figli pagare gravi conseguenze psicologiche, che ancora non sono passate del tutto. E allora, mi chiedo, se stavate tutti come me, perché cazzo dicevate "Andrà tutto bene"? Perché vi prendevate per il culo? Perché continuiamo a prenderci per il culo sui

Fate figli solo se siete pronti a tutto

Quando studiavo all’uni, poco prima di diventare mamma, mi ricordo che andavo nell’aula internet e navigavo alla ricerca di un’esperienza di cooperazione internazionale chissà dove. Mi sembrava una possibilità elettrizzante, che faceva un po' di paura ma paura buona. Non sapevo che la scelta di fare figli è altrettanto coraggiosa.  Eppure molti fanno figli, mentre pochi vanno in missione in Congo. Come se fare i figli fosse un’esperienza da divano, tipo avere un gatto.  Per me fare figli non è mai stata un’esperienza da divano, ma nel mio caso era facile intuirlo, perché la persona con cui li ho fatti non era il tipo di uomo da villetta a schiera e lavoro in ufficio, sennò probabilmente non ci saremmo mai messi insieme.  Non sapevo neanche che le mie figlie non sarebbero state tre tipe da villetta a schiera. Forse perché sono la versione estrema di me: sono quello che dico ma non quello che faccio, hanno messo a dura prova ogni mio discorso inclusivo da millenial tipo “puoi vestirt